“Suonava la messa dell’alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora della grossa, perché era piovuto da tre giorni, e nei seminati ci si affondava fino a mezza gamba. Tutt’a un tratto, nel silenzio, s’udì un rovinio, la campanella squillante di Sant’Agata che chiamava aiuto, usci e finestre che sbattevano, la gente che scappava fuori in camicia gridando: Terremoto! San Gregorio Magno! “
Chiuse il libro consunto. Quante volte aveva letto e riletto quel “Mastro Don Gesualdo”, quell’ inizio che con il passare degli anni gli era parso sempre più come una premonizione del nonno, la visione di quell’affanno che decine, centinaia di volte avrebbe colto il nipote in guerra. I disagi degli acquartieramenti, l’ansia del pericolo sempre presente, l’imprevedibilità e gli allarmi poi improvvisi, le incursioni aeree. Le bombe.
Le ombre si allungavano su quella sera del maggio 1944. Cosa sarebbe accaduto? L’addestramento in piscina era estenuante, l’attrezzatura pesante, la gente cupa, il morale alto solo sui fonogrammi trasmessi in Decima. Aver trent’anni e sentirsi il cuore di un vecchio che è stanco della vita, quella stanchezza di chi ha vissuto troppo e ha visto più di quel che voleva. Maledetto destino che lo aveva messo dov’era.
Certo, la Patria. Bisogna. E’ il dovere che chiama. Ma non era quello il malessere. Forse nemmeno uccidere un nemico che nemmeno conosceva era il malessere. Anzi lo attenuava, dava un alibi ed un senso alla violenza che era motivo e scopo della sua esistenza in quel preciso istante. Lui viveva, era vestito di una divisa, al sicuro dagli attacchi dei partigiani, nutrito ed addestrato. Solo per poter compiere violenza. Era un’arma. Quello era il senso e quello il suo destino.
“Guidi, come va l’addestramento? Pronto?”
La linea era disturbata dall’intercettazione, il sergente Dittmar del reparto comunicazioni non si preoccupava nemmeno tanto di nasconderlo. Anzi, far sapere agli italiani che erano ascoltati faceva parte della procedura, il tradimento lascia un marchio indelebile anche su chi non ha tradito. “L’addestramento procede, puoi dire al principe che noi siamo ben pronti e che ci mandi in missione il prima possibile, che è meglio aver di fronte dieci corazzate inglesi piuttosto di un tedesco alle costole.”
Gli pareva quasi di sentire il respiro rauco del Dittmar mentre ascoltando dalla derivazione aspirava una di quelle sue maledette sigarette. “Manderemo presto a prendervi. Come sta il maiale?” “Bene, si è seduto un volta sola, ma abbiamo risolto.”
Dall’altra parte della vetrata “la campana” dondolava un poco, accarezzata dall’acqua. Le figure nere dei gamma spiccavano sull’azzurro del fondo. I due uomini si muovevano con movimenti lenti ma sicuri spostando la carica dal maiale alla superficie curva che simulava lo scafo di una nave da battaglia. Ogni più piccolo urto sul metallo sarebbe diventato un suono sui muri della piscina coperta, o all’interno di una corazzata. A parte un leggero sciabordio il silenzio era totale. Appesa alle corde del soffitto la mezza chiglia metallica sopportava con pazienza il lavoro, seduti in silenzio a gambe incrociate altri uomini neri assistevano in silenzio all’operazione che poi avrebbero dovuto loro stessi ripetere altre decine e decine di volte. Girare a vuoto era esasperante, aspettare la pallottola e la dinamite dei partigiani era ancora peggio, meglio l’azione.
ADDESTRAMENTO
Chi sei: Allievo Franceschetti Cesare Alfio
Data di nascita: 30 Settembre 1925
Data di arruolamento: 1 Ottobre 1943
Corso: ZEUS – Pilotaggio ed attivazione bellica del dispositivo SLC
Località: Piscina coperta Marzotto Valdagno (VI)
Guidi era un uomo dai modi gentili. La voce ed i gesti, le sue espressioni erano quelle del buon parroco di campagna che predica i dieci comandamenti agli scolari. Ma Sottocapo Palombaro Guidi Aurelio aveva ben poco del prete sul suo libretto di servizio: mezza dozzina di missioni, 12.375 tonnellate di naviglio affondate e qualche accoltellamento con gli uomini rana inglesi. Ma lui era tornato.
Con animo gioviale e quel suo accento ferrarese raccontava di come si serrava la farfalla sull’aletta antirollio di una corazzata o si tagliava di netto con il pugnale il tubo di respirazione del nemico, così come un cuoco spiega come sgozzare il capretto.
“Questo, ragazzi, è un maiale.” Tra lui e gli allievi era posto su un ordigno lungo circa 7 metri, verniciato di grigio lucido. Era verosibilmente un siluro di quelli usati dagli aeroplani o dai sommergibili per affondare le navi nemiche.
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