Celebriamo oggi i novant’anni secchi dalla trasvolata atlantica degli Atlantici, gli aviatori italiani che nell’anno 1933, in onore del decimo anniversario della creazione della Regia Aeronautica Italiana, si fecero avanti per primi, benedetti loro, nell’attraversare il dannato oceano Atlantico in formazione, tracciando le rotte che sarebbero poi diventate le vie aeree dell’aviazione civile moderna.
Ma stavolta non ce ne frega una mazza degli aerei, delle dannate miglia percorse o delle celoduriste superiorità nazionali. Di materiale a riguardo ce n’è finché si vuole, ed è sempre lo stesso disco che suona. Noi invece vogliamo concentrarci sul concetto di impresa audace. Quell’atto di mettersi in gioco, di cimentarsi in un’azione mai tentata prima, maledetta di difficoltà e di pericoli e proprio per questo destinata a diventare un’affaraccio memorabile. Un’impresa pensata e compiuta da uomini dalla schiena dritta, che seppero come mettersi in gioco, come osare, consapevoli dei rischi che corrrevano, della loro capacità di affrontare l’idea del dolore e della sofferenza che poteva travolgerli. E lì è il fulcro della questione, il dannato motore che spinge ad osare, proprio come diceva quel poeta, quel d’Annunzio: Memento audere semper.
Quegli uomini rinchiusi in minuscoli aeroplani che affrontano l’immensità del mondo. E proprio in faccia a questo si sono scelti il motto: “Nobis facta est immensi copia mundi” L’immensità del mondo ci appartiene. Ci appartiene: lo conquistiamo, ci costi quel che costi.
E proprio questa è la loro audacia, il dannato coraggio nel affrontare per la prima volta in volo di formazione l’oceano Atlantico. Quell’immagine vertiginosa e dannata, incorniciata di un aeroplano sospeso sopra il mare, incarna perfettamente la loro magnifica avventura.
Ecco, l’impresa degli Atlantici, come tante altre imprese audaci della storia, ci ricorda che proprio nell’ardire ad affrontare l’apparentemente insormontabile si nasconde una delle chiavi del senso della vita.
Beati loro.
A distanza di quasi cent’anni diamo un’occhiata a questa società cosidetta moderna in cui siamo intrappolati, e facciamo il confronto.
Siamo chiusi in una maledetta scatola di consumismo e alienazione. Siamo tutti lì, sopravvissuti sul divano in un’esistenza vuota e priva di autenticità. I telefonini e le serie TV ci narcotizzano, distruggono le nostre menti trasformandoci in zombie, pur consapevoli della morte civile che ci sta consumando.
Nel bel mezzo di questa palude di superficialità, l’impresa vera e propria è vivere. Non una mera sopravvivenza ma una dannata vita vissuta con passione e consapevolezza. Rompere le catene delle convenzioni, coltivare relazioni autentiche, provare emozioni vere e maledizione, guardare il mondo con occhi aperti, menti sveglie e una visione propria ed originale. Ambire, osare, Audere. E sì, ci saranno dolore, sofferenza e morte, ma è la nostra vita, l’unica che abbiamo, non è morte civile.
È una scelta. Quella di trovare un senso di scopo personale, mentre tanti intorno a noi sono felici di vivere come addormentati, intrappolati in piccole vite tutte uguali. In un’epoca in cui ci nutriamo di cazzate virtuali e ci droghiamo di schermi luminosi, la vera impresa è farsi strada attraverso il branco di pecore che ci circonda. Dobbiamo alzare il dannato culo dal divano, spegnere quel maledetto telefonino e affrontare la realtà, combattendo la morte mentale e la morte civile che ci aspettano come dannati cani rabbiosi. Costi quel che costi.
“In realtà l’audacia si costruisce proprio sulla base della capacità di sofferenza, perché può andarti storto. L’audacia non è come il coraggio. Il coraggio è una cosa un po’ ottusa, cioè non ha paura di fare, invece quando noi usiamo la parola audacia indichiamo qualcosa che è audace anche dal punto di vista intellettuale, cioè la soluzione non banale, ecco: audace. E’ un misto tra: disponibilità a soffrire se va male e di brillantezza intellettuale nel trovare una mossa sorprendente. Ed è esattamente quello di cui noi oggi abbiamo bisogno.”
Alessandro Baricco
What does “Audere” (Dare) mean ninety years later.
Today we celebrate the ninety years since the Atlantic crossing of the “Atlantici,” the Italian aviators who in 1933, on the tenth anniversary of the creation of the Italian Royal Air Force, stepped forward first, God bless them, to cross the damn Atlantic Ocean in formation, tracing the routes that would later become the airways of modern civil aviation.
But this time, we couldn’t give a damn about the planes, the damned miles travelled, or the tough-as-nails national superiority. There’s enough material on that as it is, and it’s always the same old song. Instead, we want to focus on the concept of bold enterprise. That act of taking a chance, of embarking on an action never attempted before, cursed with difficulty and dangers and for that very reason destined to become a memorable feat. An enterprise conceived and accomplished by men with their backs straight, who knew how to take a chance, to dare, aware of the risks they were taking, of their ability to confront the idea of pain and suffering that could overwhelm them. And there is the crux of the matter, the damned engine that drives us to dare, just as that italian poet, that d’Annunzio, said: Memento audere semper.
These men, confined in tiny airplanes, confronting the vastness of the world. And in the face of this, they chose the motto: “Nobis facta est immensi copia mundi” The vastness of the world belongs to us. It belongs to us: we conquer it, whatever it cost.
And this is precisely their audacity, the damned courage in facing for the first time in formation flight the Atlantic Ocean. That dizzying and damned image, framed by an airplane suspended over the sea, perfectly embodies their magnificent adventure.
Indeed, the endeavor of the “Atlantici,” like so many other bold endeavors in history, reminds us that in daring to confront the seemingly insurmountable hides one of the keys to the meaning of life.
Bless them.
Almost a hundred years later, we take a look at this so-called modern society we are trapped in and make the comparison.
We are locked in a damned box of consumerism and alienation. We are all there, surviving on the couch in an empty existence devoid of authenticity. Cell phones and TV series narcotize us, destroying our minds turning us into zombies, fully aware of the civil death that is consuming us.
In the midst of this swamp of superficiality, the true endeavor is to live. Not mere survival but a damned life lived with passion and awareness. Break the chains of convention, cultivate authentic relationships, experience true emotions and damn it, look at the world with open eyes, awake mind and an original vision. Aspire, dare, Audere. And yes, there will be pain, suffering, and death, but it’s our life, the only one we have, it’s not civil death.
It’s a choice. The one to find a sense of personal purpose, while so many around us are happy to live as sleepwalkers, trapped in small lives all the same. In an era where we feed on virtual bullshit and drug ourselves with bright screens, the real enterprise is to make our way through the flock of sheep that surrounds us. We need to get our damned asses off the couch, turn off that damned cell phone and face reality, fighting the mental death and the civil death that await us like damned rabid dogs. Whatever it costs.
“In reality, audacity is built precisely on the basis of the capacity for suffering, because things can go wrong. Audacity is not like courage. Courage is a bit dull, meaning it’s not afraid to act, but when we use the word audacity, we indicate something that is daring also from an intellectual point of view, that is, the non-trivial solution: audacious. It’s a mix of: willingness to suffer if things go wrong and intellectual brilliance in finding a surprising move. And that is exactly what we need today.”
Alessandro Baricco
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