Oggi vi parliamo di personalità, di carattere.
Per farlo non c’è niente di meglio di mostrarvi l’immagine del pilota italiano Arturo Ferrarin che letteralmente indossa il suo idrocorsa. Una immagine spettacolare, che mette al centro dell’obbiettivo fotografico – e della percezione di chi osserva – l’uomo, il suo sguardo, la sua personalità fatta di passione, abilità e coraggio. Più che una foto sportiva ci sembra di osservare l’immagine di un film che ha il pilota come protagonista. Le macchine, i meravigliosi aeroplani della Macchi, fanno da sfondo alle imprese eroiche, sono solo strumenti di scena funzionali ad esaltare il coraggio e l’abilità dell’uomo.
Ma è forse a causa di queste immagini che qualcosa inizia a cambiare. La clamorosa sconfitta di Venezia porterà i vertici della Regia Aeronautica a riflettere sulla opportunità di coltivare ed esaltare i talenti – ma anche la personalità – degli uomini soli, dei fuoriclasse. Si inizia a discutere se non sia meglio invece creare una “scuola – fabbrica di piloti velocisti”, una struttura militare inquadrata, con il compito di formare una squadra corse, macchina perfetta nella quale, come già i tecnici ed i meccanici, anche i piloti siano solo una parte, addestrata ed altrettanto perfetta, di un sistema meccanico coordinato.
Siamo quindi prossimi al cambio di passo. In aeronautica – anche per ragioni politiche – finiscono le imprese solitarie, sostituite da squadriglie che in sincrono eseguono le manovre acrobatiche, dai voli di massa, dalle trasvolate atlantiche. E’ in quegli anni che nasce il Reparto Alta Velocità, una scuola nella quale i piloti, non più civili ma militari di talento senza tanti grilli per la testa e manie di protagonismo, vengono addestrati a compiere decine e decine di volte manovre pericolosissime fino alla tolleranza del decimo di grado, del secondo. Leggetevi la tecnica della virata desenzano o la storia dell’ammaraggio coordinato di tre idrocorsa per capire cosa significava realmente per un pilota della RAV diventare parte di un aeroplano, di una macchina volante.
A Venezia nel ’27 per l’ultima volta si accendono quindi i riflettori sulle personalità di personaggi hollywoodiani come Arturo Ferrarin, uno che si presentava alle foto ufficiali vestito come un gentlemen driver. I loro volti scanzonati e spavaldi saranno presto sostituiti da quelli più composti dei piloti in divisa blu della Regia Aeronautica: i Maggi, i Dal Molin, gli Agello. Saranno loro i nuovi velocisti, uomini coraggiosi certo, con una faccia ed un nome da incidere su targhe e monumenti ma con una personalità che, a parte il vezzo di esibire un cappello sulle ventitré, era serenamente volta al senso del dovere, di appartenenza e servizio alla squadra, al paese, o,  come si diceva spesso a quei tempi e molto meno adesso, alla Patria.
Esprimevano quegli uomini un modo di essere militare autocoercitivo nei confronti della propria libertà personale? Forse. Ma l’esperienza della storia, delle imprese militari e private, dalla conquista dello spazio alla formula uno fino alla piccola azienda o squadra di calcetto ci insegna tutti i giorni che mettersi al servizio di una squadra coesa e motivata è sicuramente il miglior modo per esaltare e far sbocciare il proprio talento personale.

Squadratlantica celebra una sconfitta che insegnò a vincere

Maglia Recordino celebra i piloti che nel 1927 a Venezia pilotarono i rossi Macchi M52.
Fu una cocente sconfitta per l’Italia che pose però le basi per “fare squadra”. La creazione del Reparto Alta Velocità nel 1928 portò nel 1934 alla conquista del primato mondiale di velocità per la categoria, tuttora imbattuto.

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