Due secondi per virare a seicento all’ora. Armando Palanca e Mario Bernasconi raccontano.
Di Igino Maria Coggi per Archivio Storico Squadratlantica
Estratto dalla pubblicazione “Più veloci del Rischio”. Squadratlantica 2018
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Desenzano, 29 giugno dell’Anno del Signore 1928: al cancello dell’idroscalo si presenta un militare della Regia Aeronautica che non solo non è un ufficiale, ma neanche un sottufficiale e neppure un pilota, ma solo un aviere scelto. Si chiama Armando Palanca, è stato arruolato nella Regia Aeronautica il 6 novembre 1925 in qualità di allievo motorista, poi assegnato al VI corso normale motoristi alla Scuola Specialisti di Capua, dove si è classificato al terzo posto su 162 allievi risultati idonei. Da lì è finito a Mirafiori in forza all’8° Gruppo Caccia. Ed è proprio a Mirafiori, alle porte di Torino, dove ha risolto un problema di carburazione dei motori dei velivoli in dotazione al reparto, che lo adocchia l’allora maggiore Mario Bernasconi dopo aver provato e approvato di persona ciò che l’aviere scelto Palanca Armando si è inventato. «Io quello prima o poi me lo porto appresso». E ciò se pensa una cosa, Bernasconi poi la fa per davvero. Non appena il Reparto Alta Velocità da progetto su carta diventa realtà Bernasconi chiama Palanca. Non per risolvere problemi di carburazione dei motori, lo farà poi per davvero quando il “doppio motore” dell’MC.72 li manifesterà in modo drammatico, ma per altro compito, anche questo per niente facile.
Il RAV ha appena aperto i battenti che già la prima infornata di “velocisti” comincia a prepararsi per la grande avventura che per il momento è la Schneider 1929 da disputarsi in Inghilterra, ma con altro in prospettiva. Si tratta di imparare a virare e lungo una precisa traiettoria. Imparare a virare per aviatori che sono piloti militari da anni e che sono riusciti a qualificarsi per il corso e per la prossima impresa sembra lapalissiano. Lapalissiano non lo è per niente perché qui si tratta di virare su punti prestabiliti senza sgarrare di un secondo poiché un secondo in più o in meno significa giocarsi una gara come la Schneider ed anche un primato mondiale di velocità. E poiché in gara come nel primato tutto viene registrato e cronometrato il percorso non lo si può fare a casaccio. Quindi allenamento su allenamento, virate su virate fino a non sgarrare manco di mezzo secondo e fino a ficcarsi in testa il percorso, mentre a terra c’è bisogno di un “aggeggio” che documenti al millesimo ciò che il pilota ha combinato. Inventore di questo “aggeggio” sarà l’aviere scelto Armando Palanca che a Desenzano è stato trasferito su esplicita richiesta di Bernasconi. Che Bernasconi sia ormai un ufficiale superiore, tenente colonnello in passaggio a colonnello, e Palanca uno che sta agli ultimi gradini della scala gerarchica, là dove ti devi mettere sugli attenti salutare e dire Signorsì anche davanti all’ultimo tenentino di prima nomina, non conta nulla. A Desenzano, al RAV, la scala gerarchica conta come il due a briscola: basta intendersi con Bernasconi perché se con quello non ti intendi è bene fare subito la valigia perché se non te ne vai tu, ci pensa lui a sbatterti fuori. E che Bernasconi sulla ricerca della perfezione non transige Palanca se ne accorge fin da subito…
La testimonianza di Palanca…
Come è andata è lo stesso Armando Palanca a raccontarcelo in una memoria manoscritta “Studio delle traiettorie di virata – Coppa Schneider 1929 – Reparto Alta Velocità Desenzano del Garda (Luglio 1928-Maggio 1929), da lui redatta a gennaio del 1990 accompagnata da grafici e disegni della sua stessa mano e gentilmente messaci a disposizione da suo figlio Alberto. «Il Comandante del Reparto Alta Velocità, tenente colonnello ingegnere Mario Bernasconi [osserviamo come Palanca ritenga doveroso aggiungere al grado del suo “Capo” non la qualifica di pilota bensì quella di “ingegnere”, NdA] sin dall’inizio dell’attività addestrativa dei piloti, pose la sua massima attenzione alla perfetta realizzazione delle virate per il circuito della prossima edizione della Coppa Schneider che si sarebbe svolta a Calshot nel mese di settembre 1929. Il circuito, della forma di triangolo schiacciato, della lunghezza di 50 km – ricorda Palanca – comprendeva due angoli molto acuti e, di conseguenza, in tali punti si trattava, praticamente, di una inversione di marcia. Lo scopo da raggiungere era quello di ottimizzare il più alto valore della velocità media sull’intero giro. In varie riunioni di tutto il personale interessato, il Comandante [Palanca nei suoi ricordi lo scrive sempre con la C maiuscola perché per lui come per gli altri Bernasconi era “Il Comandante”, punto e basta, NdA] espresse la sua teoria e, per indicarla chiaramente, portò ad esempio, dato che era anche un abilissimo acrobata, la prima parte di un looping, ad accelerazione progressivamente incrementata, con conseguente diminuzione di raggio, da realizzare sul piano orizzontale a quota perfettamente costante. Tutti gli allievi velocisti – prosegue Palanca – sin dal mese di luglio 1928, con i primi aerei disponibili per gli allenamenti (S.16, M.41 ecc.) iniziarono ad effettuare virate a quota molto bassa tenendo presente l’obiettivo di raggiungere indicato e dimostrato dal Comandante. Dopo circa un paio di mesi di allenamenti liberi, variando empiricamente alcuni parametri operativi in modo da realizzare una traiettoria apparentemente soddisfacente, fu realizzato sul lago di Garda un circuito delimitato da piloni ben visibili, di forma e dimensioni identiche a quelle della gara in Inghilterra. Uno dei vertici del triangolo, quello più acuto, era situato di fronte all’idroscalo in modo da poter facilmente osservare, in un primo tempo a vista, le relative traiettorie di ogni pilota e cronometrando il tempo impiegato».
E adesso entra in scena e in prima persona Armando Palanca. «Allo scopo di raggiungere il più alto grado di perfezione possibile, il Comandante mi incaricò di iniziare, con impegno, lo studio per la realizzazione di una apparecchiatura di ripresa e di analisi delle traiettorie utilizzando due macchine cinematografiche atte ad imprimere, contemporaneamente, sulla pellicola sia l’idrocorsa che il tempo indicato da un cronometro sincronizzato con quello dell’altra cinepresa in modo da poter ricostruire e analizzare l’effettivo percorso, la posizione dell’aereo, la velocità istantanea, ecc». Da notare che Bernasconi, da par suo, non si limita a dire «fai questo e fai quest’altro», ma esige che lo si faccia «con impegno» e sotto la sua continua e occhiuta vigilanza.
«Ma poiché – ricorda Palanca – per realizzare tale complessa apparecchiatura sarebbero stati necessari alcuni mesi, dopo numerose riunioni e proposte fu deciso di utilizzare, in un primo tempo e a puro titolo indicativo, un proiettore panoramico per la ripresa e il tracciamento diretto della traiettoria. Si trattava di utilizzare una specie di grande macchina fotografica dove sul piano, quello normalmente riservato alla pellicola, veniva proiettata panoramicamente la zona del lago interessata e, di conseguenza, anche l’aereo durante il suo passaggio. Lo studio teorico della traiettoria, utilizzato come base iniziale di partenza, era basato sui seguenti parametri:
1°) Forma e dimensione del circuito.
2°) Aereo utilizzato= M.52 motore AS.3.
3°) Accelerazione massima, sul piano orizzontale, sopportabile dal pilota = a +6g.
4°) Utilizzazione della massima potenza del motore sullo stesso percorso.
5°) Perdita di velocità a fine traiettoria con raggio minimo = ˜80 km.
Tali dati sono stati utilizzati per la costruzione matematica della traiettoria di massimo rendimento (teorico) per il circuito della Coppa Schneider del 1929».
Questa la teoria. Ora la pratica. «Dato che la traiettoria di massimo rendimento doveva avere, per i vari parametri variabili, uno sviluppo parabolico, in un primo tempo – ricorda ancora Palanca – furono sistemati, su di un tratto di circa 1.500 metri prima e dopo il pilone, alcuni punti di riferimento (boe) indicanti l’esatta traiettoria, il suo inizio e il suo termine a inclinazione “zero”, riferimenti che nella fase finale di allenamento furono eliminati per abituare i piloti a realizzarli automaticamente “ad occhio” come avrebbero dovuto fare nel corso della competizione. L’apparecchiatura per la ripresa panoramica delle virate consisteva in una camera oscura piramidale con un obiettivo ad asse orizzontale di grande lunghezza focale ottenuta con lenti addizionali e munito di prisma in modo da proiettare sul piano il panorama della zona interessata dalle virate. Il passaggio dell’aereo su tale piano veniva seguito con matite di diverso colore per poter distinguere un passaggio dall’altro. Naturalmente per l’interpretazione ed il confronto delle varie traiettorie era necessario conoscere l’esatta quota di volo di ognuna; ma poiché in tale zona le quote di volo, dalla più alta alla più bassa vi era una differenza di cinque metri e le traiettorie erano praticamente allo stesso livello dell’obiettivo, tale sistema fu di valido aiuto per la prima fase degli allenamenti e fu usato dal settembre 1928 al febbraio 1929».
Tutto a posto? Si può andare a riposare? Manco per niente. Il “Capo” esige che si vada avanti e in quella specie di monastero che è il RAV il tempo lo scandisce Bernasconi. «A seguito di accurate analisi delle traiettorie, rilevate direttamente col proiettore panoramico e confrontate con i tempi impiegati per percorrerle, risultava che a parità di percorso planimetrico dell’aereo vi era, a volte, una notevole differenza di tempo = ˜2 secondi. Pertanto – rimembra Armando Palanca – allo scopo di raggiungere risultati migliori individuando le relative fasi da correggere, [il Comandante] mi incaricò di dedicare tutto il mio tempo alla realizzazione del complesso impianto per la ripresa, con due macchine cinematografiche a fuoco incrociato, di tutto il tratto della virata. Le normali cineprese disponibili furono radicalmente modificate in modo che sul fotogramma venissero riprese, contemporaneamente, anche le indicazioni dei micrometri preventivamente sincronizzate in modo da poter determinare la posizione dell’aereo con la lettura dei fotogrammi fatti nello stesso istante con assi ottici sfasati di 90 gradi». E Palanca non manca di annotare che «tale principio, a realizzazione artigianale, è stato in seguito sviluppato dalla DSSE-Sezione Elettronica e Fotografica per realizzare il sistema di cronometraggio ad alta precisione (1/1000 di secondo) per la documentazione ufficiale dei primati mondiali di velocità dell’MC.72».
E si va avanti. «Le cineprese furono installate su apposite postazioni fisse sulla sponda del lago di Garda di fronte all’idroscalo di Desenzano» ci informa Palanca aggiungendo che «con numerosi voli effettuati da ogni pilota, candidato a partecipare alla competizione, con i parametri della Vi [Velocità indicata, NdA], dei giri del motore e dell’accelerazione sul piano orizzontale, rilevati con gli strumenti registratori di bordo costruiti dal RAV, e con quelli geometrici delle traiettorie rilevate con le cineprese da terra, dopo una lunghissima analisi delle proiezioni simultanee delle pellicole e delle relative elaborazioni dei fotogrammi per la determinazione della posizione dell’aereo col micrometro ottico, sono stati determinati i valori ottimi degli elementi fondamentali della virata e precisamente:
a) Inizio inclinazione e traiettoria curva;
b) Gradiente di inclinazione con conseguente riduzione di raggio in relazione alla velocità;
c) Accelerazione massima sul piano orizzontale;
d) Progressivo ritorno all’assetto rettilineo».
A questo punto Armando Palanca ci dà un’interessante notizia. «Allo scopo di evidenziare la realizzazione della virata, durante le riunioni con i piloti dopo ogni fase di allenamento, fu costruito un apposito modellino della traiettoria di massimo rendimento costituito da una “pista” ad inclinazione e raggio di curvatura variabili sulla quale un modellino di idrocorsa con una speciale slitta poteva percorrerla simulando a tutti gli effetti la virata stessa». Insomma un simulatore ante litteram, anch’esso rigorosamente “fatto in casa”, in un tempo in cui i simulatori di volo come li intendiamo noi con visual e vari gradi di libertà non sono neanche nel libro dei sogni.
«Uno dei fattori più importanti per ottenere la più alta velocità media sul circuito era – prosegue Palanca nella sua rievocazione – l’esatta determinazione da parte del pilota del punto iniziale della virata (senza indicazioni di riferimento) in modo che mantenendo in armonico accoppiamento inclinazione, raggio e accelerazione, la traiettoria stessa sul punto corrispondente al suo raggio minore, facesse sfiorare l’aereo con la sua ala sinistra la parte esterna del pilone. A tale scopo si provvedeva a cronometrare esattamente il tempo che l’aereo “fuori dal vertice” con un traguardo normale alla bisettrice del suo angolo».
Insomma sta prendendo forma quella che oggi, sia pur effettuata in maniera che tenga conto della diversità delle macchine, si chiama “Virata Schneider” ma che allora più giustamente è nota come “Virata Desenzano”. A Calshot, alla Schneider 1929, per noi andrà malissimo e sarà un miracolo, per il coraggio del pilota e per l’inopinata squalifica dell’inglese che stava davanti a lui, se Tommaso Dal Molin riuscirà a piazzarsi secondo, unico italiano a terminare la prova, lottando fino allo spasimo con il venerando e non più competitivo M.52R. Ma in questa sua disperata impresa una buona parte la giocherà a suo favore proprio la tecnica di virata. Parola della stampa internazionale, aeronautica e d’informazione, che, ricorda Palanca a chiusura della sua memoria, «mise in evidenza la perfezione delle traiettorie in virata degli italiani».
… e quella di Bernasconi
Per compiere una virata a 600 chilometri all’ora ci vogliono due secondi raggiungendo un’accelerazione centrifuga corrispondente a 3 g. Tempo calcolato dal comandante del Reparto Alta Velocità. «La virata – racconterà il colonnello Mario Bernasconi a fine del 1934 dopo il secondo primato mondiale di Agello – deve essere perfettamente giacente sul piano orizzontale e l’apparecchio sbandato totalmente cioè con le ali disposte in piano verticale. A tale massima inclinazione trasversale dell’idrocorsa non si deve pervenire di colpo per evitare una contromanovra che oppone resistenza al moto, ma progressivamente e misuratamente. In modo analogo deve avvenire la rimessa dopo la virata. La traiettoria orizzontale è rappresentata in pianta da una curva che dal raggio infinito tende al raggio minimo cui corrispondono sull’apparecchio valori di centrifugazione equivalenti a tre o quattro volte l’accelerazione di gravità. In corrispondenza a tale tratto la traiettoria deve risultare tangente o quasi al pilone comprendendolo».
I piloti si esercitavano alle virate su tutti i tipi di idrocorsa in dotazione al RAV, mentre sul percorso i vertici venivano segnalati da piloni volutamente di piccole dimensioni «per acuire nel pilota – ricorda ancora Bernasconi – il senso della ricerca del volo». Talora, per i vertici più lontani dall’idroscalo fungeva da pilone un idrovolante con a bordo un ufficiale e un nuotatore, munito di radio ricetrasmittente per comunicare al «direttore dell’istruzione» tutti i dati relativi al passaggio dell’idrocorsa e come il pilota aveva effettuato la virata. Al pilota dell’idrocorsa la comunicazione di come aveva effettuato la precedente virata avveniva a mezzo di segnali ottici attivati vicino ai piloni per dargli modo di correggere la virata qualora fosse stata effettuata in maniera errata. «Durante le istruzioni per la Coppa Schneider – è ancora Bernasconi che ricorda ciò che poi è stata opera sua – i circuiti riproducevano nel modo più preciso quello da corrersi il giorno della gara. In tali periodi ciascun pilota giunse così a compiere un numero notevole di giri di circuito sino a portarsi verso la fine dell’istruzione ad aver effettuato più di dieci volte la corsa completa e cioè sette giri di 50 km a velocità tra i 400 e i e 450 [km/h] con una precisione di condotta tale che tra giro e giro non esisteva una differenza superiore ad uno o due quinti di secondo».
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3 Comments
Grazie fantastici
Interessantissimo articolo, complimenti!
Bella esposizione e descrizione grazie.Se ne può avere una copia del testo via e-mail?
Alberto Palanca
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