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CHIAMATA ALL’IMPRESA

Ad un certo punto della vita, per ognuno di noi arriva quel momento nel quale la sensazione è quella di essere chiamati al proprio destino. Una vocazione religiosa, l’incontro con una figura carismatica, un conflitto o una impresa. Si percepisce la presenza di uno spazio, di un vuoto creatosi esattamente a misura della nostra personalità, delle nostre aspirazioni e capacità. Un vuoto che istintivamente andiamo a riempire percependo in questo modo un senso di appagamento e di realizzazione personale. La nostra presenza ci pare finalmente avere un senso perché abbiamo trovato il senso della nostra vita.

PRIMUS INTER PARES

All’inizio dei tempi le grandi imprese consistevano nell’attraversare un fiume, un burrone, inoltrarsi in un territorio inesplorato, scalare una vetta o percorrere in poco tempo grandi distanze. E tornare vivo. Imprese che risiedevano ancora nel libero arbitrio e nella volontà del singolo che, per ambizione o necessità, decideva più o meno coscientemente e liberamente di mettere in gioco la propria esistenza per andare oltre il limite tracciato fino a quel momento. Con lo sviluppo delle civiltà, la complessità delle attività umane aumentò; invece di capanne si costruivano case, palazzi e tempi e dalle prime liti per il possesso della selvaggina si svilupparono guerre per la conquista dei territori. L’asticella si alzava e per andare oltre il limite l’umanità doveva imparare a lavorare insieme. Per molto tempo ancora la volontà del singolo avrebbe avuto liberà di azione ma con il passare del tempo quel singolo uomo o donna finirono in realtà con il rappresentare con la loro impresa il lavoro di molte altre persone. Se scalare l’Everest, attraversare l’Atlantico in solitaria o compiere raid con un solo aeroplano erano eventi che concentravano l’attenzione dei media sui protagonisti, sui primus inter pares, in realtà l’impresa era quella compiuta da una squadra, da un team che come un meccanismo lavorava per il risultato finale.

IL MECCANISMO

Fu alla fine degli anni 20 che, per ragioni di propaganda, in Italia si affermò l’idea che una impresa doveva essere espressione della volontà di molti e non del singolo. Figure come D’Annunzio, De Pinedo, De Bernardi e Ferrarin dovevano essere sostituite con immagini collettive. L’impresa doveva essere compiuta dalla squadra che aveva nel singolo la parte di un meccanismo, ne più ne meno come lo era il mezzo che sarebbe stato utilizzato. Primo esempio evidente di questo tipo di approccio fu rappresentato dalla costituzione del Reparto Alta Velocità nel quale il Comandante, Colonnello Bernasconi, inserì piloti dotati di abilità e coraggio ma anche e soprattutto di quel senso del dovere che li avrebbe resi pronti ad eseguire ordini ed istruzioni. Vennero invece lasciati progressivamente da parte assi come De Bernardi e Ferrarin, uomini e piloti di altissimo valore ma troppo protagonisti ed insofferenti agli ordini dall’alto. Gli uomini dovevano imparare ad essere soprattutto soldati, meccanismi di un meccanismo perfetto; la famosa “virata desenzano” rappresenta probabilmente la prima vera espressione di una azione automatizzata, robotica, con il pilota perfettamente addestrato a compiere decine e decine di volte e sempre con la stessa millimetrica precisione una manovra di pilotaggio estremamente complicata sul filo dei 500 km orari.

LA SQUADRA ATLANTICA

Era il RAV il laboratorio di quel pensiero che portò alla realizzazione delle Trasvolate Atlantiche. Non più i voli in solitaria di De Pinedo, ma voli di massa, le famose Formazioni Balbo, spettacolari stormi composti da decine di aeroplani che insieme compiono un impresa. Si iniziò nel 28 con la crociera del mediterraneo occidentale, poi nel 29 volando da Roma ad Odessa, poi fu la volta del grande salto fino in Sud America nel 1930 ed infine, a celebrare il decennale della giovane forza aerea italiana, nel 1933 si compì l’impresa di portare uno stormo di aeroplani fino negli Stati Uniti e di farli tornare.

PER SEMPRE ATLANTICI

Fu quando si iniziarono le selezioni e le assegnazioni per la Trasvolata Atlantica che Balbo colse appieno il significato che tale impresa stava rappresentando per sé e per i suoi uomini. In centinaia si presentarono volontari, nella consapevolezza che quello avrebbe potuto davvero essere il destino per il quale si erano preparati. Lo scopo di una vita, il senso dei sacrifici fatti, un posto nella Storia del proprio paese. Vennero selezionati in cento; avrebbero portato aldilà del mondo la volontà ed i colori dell’Italia, una impresa storica autorizzata da un regime totalitario che voleva mostrare i muscoli ma che finì in secondo piano, abbagliato dalla bellezza del gesto e stordito dal significato delle parole pronunciate da Italo Balbo, parole di una unione tra i popoli che quel volo finì per rappresentare.

RIMANE L’ESEMPIO

A distanza di anni rimangono le fotografie ed un lungo documentario a ricordo di una impresa che inaugurò le rotte commerciali internazionali; rimangono i volti di quegli uomini riuniti di fronte ad un grande idrovolante, riconosciuti a colpo sicuro dagli appassionati non come singoli ma come “Gli Atlantici”, uomini che per orgoglio e senso del dovere seppero addestrarsi con volontà e tenacia per poi mettersi in volo, affidandosi al loro Comandante ed avventurandosi nel pericolo, lasciandosi alle spalle affetti e sicurezze. Rimane Orbetello, il luogo da dove decollarono gli Atlantici il 1 Luglio del 1933 ed ora luogo simbolico che accoglie il ricordo di quegli uomini che lì vollero tornare, sacrario indimenticato che nel suo essere trascurato ben rappresenta quale sia il senso dello stato, inteso come espressione della comunità del popolo, che in Italia i governi si tramandano sempre più debolmente. Rimane l’esempio, in assoluto il miglior insegnante, che in questa impresa riunisce cose preziose come il Cuore, la Volontà, l’Ingegno, il Coraggio, il Senso del Dovere ed il Sacrificio.

LA SCIARPA NOBIS

“Ad un certo punto della vita, per ognuno di noi arriva quel momento nel quale la sensazione è quella di essere chiamati al proprio destino.”

Viviamo in una epoca nelle quali l’asticella delle imprese è davvero salita molto in alto, si guarda alle stelle. Ma è nella vita di tutti i giorni che dobbiamo compiere l’impresa di trovare la nostra strada, trovare i nostri riferimenti e le nostre motivazioni. L’esempio è una grande forza alla quale appoggiarsi e pensare di essere se non pari almeno degni del coraggio di vivere dimostrato dagli Atlantici può essere una buona motivazione ad affrontare le sfide di tutti i giorni. Rimane un filo a guidarci a quell’esempio, un filo prezioso nel suo significato che in Squadratlantica diventa il filato utilizzato per realizzare una sciarpa che dopo oltre ottanta anni ridisegna in oro la forma degli aeroplani, fenici che risorgono, e traccia le iniziali dei nomi dei capo equipaggio, ancora presenti. Un oggetto la sciarpa Nobis che sullo sfondo della superficialità dei tempi nei quali viviamo assume nella sua unicità e valore il significato di un amuleto prezioso, di un mantello con il quale avvolgerci per affrontare le avversità e un segnale, muto ma ben visibile, per incontrare gli sguardi di chi come noi intende vivere la vita. A volte per seguirlo l’esempio bisogna portarselo appresso, indossarlo, vederlo riflesso in uno specchio, affidarsi a lui e lasciare che le cose accadano da sole. 

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CALL OF DUTY

At one point in life, for each of us comes that moment in which the feeling is that of being called to our destiny. A religious vocation, an encounter with a charismatic figure, a conflict or an endeavour. We perceive the presence of a space, of a void created exactly in accordance to be filled with our personality, our aspirations and capacities. A void that we instinctively go to fill in perceiving in this way a sense of fulfillment and personal fulfillment. Our presence finally seems to make sense because we have found the meaning of our life.

PRIMUS INTER PARES

At the beginning of time, a big endeavour consisted of crossing a river, a ravine, enter in an unexplored territory, climbing a peak or traveling long distances in a short time. And come back alive. Actions that still resided in the range of the man who, for its own ambition or necessity, decided more or less consciously and freely to put his existence at stake to go beyond the limit set up up to that point. With the development of civilizations, the complexity of human activities increased; instead of huts houses, palaces and temples were built and wars for the conquest of the territories developed over the first disputes for the possession of the hunted prey. The bar then rose, and to go beyond the limit humanity had to learn to work together. Still for a long time the will of the individual would have had freedom of action, but with the passage of time that single man or woman actually ended up representing with their enterprise the work of many other people. If climbing Mount Everest, crossing the Atlantic sea alone or carrying out raids with just one airplane were events that concentrated the media attention on the protagonists, as primus inter pares, in reality the real endeavour was carried out by the team, a team that worked as a mechanism to achieve the desired success.

THE MECHANISM

It was at the end of the 1920s that, for propaganda reasons, in Italy has been affirmed the idea that an enterprise had be an expression of the will of many and not of the individual. People like D’Annunzio, De Pinedo, De Bernardi and Ferrarin had to be replaced with collective images. The endeavour had to be carried out by the team that had the part of its mechanism in the single, that was neither more nor less like the machine that would have been used. The first evident example of this type of approach was represented by the establishment of the Reparto Alta Velocità ( High Speed ​​Department ) in which the Commander, Colonello Bernasconi, inserted pilots endowed with skill and courage but also, and above all, with a sense of duty that would have made them ready to execute – as machines – orders and instructions . On the other side, skilled axes such as De Bernardi and Ferrarin, pilots of the highest value but too protagonists and intolerant of orders from above, were gradually left out. The pilots of the RAV had to learn to be mostly soldiers, mechanisms of a perfect mechanism; the famous “Virata Desenzano” probably represents the first true expression of an automated, robotic action, with the pilot perfectly trained to perform dozens and dozens of times and always with the same millimeter precision an extremely complicated piloting maneuver on the edge of the 500 km per hour .

THE ATLANTIC TEAM

It was the RAV the laboratory of that thought that led to the realization of the Atlantic Transvolates. No longer the solo flights of De Pinedo, but mass flights, the famous “Balbo flights”, spectacular flocks composed of dozens of airplanes that fly all together. It began in the 1928 with the cruise of the West Mediterranean, then in the 1929 with the from Rome to Odessa Eastern Mediterranean flight, then it was the turn of the first great jump to South America in 1930 and finally, to celebrate the tenth anniversary of the young Italian air force, in 1933 it was fulfilled the feat of bringing a Balbo flight to the United States and back.

FOREVER ATLANTICI

It was when the selections and assignments for the “Trasvolata Atlantica mission” began that Balbo fully understood the meaning that this enterprise was representing for himself and his aviators. Hundreds volunteered, knowing that this could indeed be the fate for which they had prepared for the whole life. The purpose of a life, the meaning of the sacrifices made, a place in the history of the Country. One hundred were selected; their duty was to bring the will and colors of Italy beyond the world, an historic endeavour authorized by a totalitarian regime that wanted to show its muscle but which ended up in the background, dazzled by the beauty of the gesture and stunned by the meaning of the words spoken by Italo Balbo, words of union between the peoples that that flight represented.

THE EXAMPLE REMAINS

Years later, photographs and a long documentary remain in memory of an endeavour that inaugurated international trade routes; remain the faces of those men gathered in front of a large seaplane, recognized without fail by enthusiasts not as individuals but as “The Atlantici”, men who “just” for pride and a sense of duty were able to train with will and tenacity and then take flight, relying themselves on their Commander and venturing into danger, leaving behind families and certainties. Orbetello remains, the place where the Atlantici pilots took off on 1 July 1933 and that is now a symbolic place that holds the memory of those men who wanted to come back there forever, an unforgettable memorial place that in its being neglected well represents what is the sense of the state, understood as an expression of the community of the people, that in Italy the governments have handed down more and more weakly. The example is always the best teacher and in this enterprise brings together precious things like the Heart, the Will, the Creativity, the Courage, the Sense of Duty and the Sacrifice that man can exprime.

THE NOBIS SCARF

“At some point in life, for each of us it comes that moment in which the feeling is that of being called to one’s destiny.”

We live in an era in which the bar has really risen very high, we are looking at the stars. But it is in everyday life that we must carry out the task of finding our way, our references and our motivations. The example is a great force and look to the courage demonstrated by the Atlantici can be a good motivation to face everyday challenges. It remains a thread to guide us to that example, a precious thread that in Squadratlantica becomes the yarn used to manufacture a scarf that, after more than eighty years, depicts again the shape of airplanes, like phoenicians who rise again, and traces the initials of names of the crew chiefs, still present by us. The Nobis scarf emerges from the background of the superficiality of the times in which we live assuming in its uniqueness and value the meaning of a precious amulet, of a cloak in which wrap ourselves to face the adversity and a signal, mute but clearly visible, to meet who, like us, intend to live the life. Sometimes to follow the example you have to take it on you, wear it, see it reflected in a mirror, rely on it and let things happen by themselves.