Il Piaggio PC7 rappresenta perfettamente quel processo mentale attraverso il quale affrontando un problema lo si risolve eliminando direttamente alla fonte il problema stesso. ( spoiler: il problema erano i galleggianti).
La “Coupe d’Aviation Maritime Jacques Schneider”, nota in Italia come Coppa Schneider, fu una competizione  velocistica per idrovolanti che si tenne nella prima metà del secolo scorso. La gara doveva disputarsi con cadenza annuale e l’obiettivo degli organizzatori era quello di spingere lo sviluppo dell’ aeroplano idrovolante, un mezzo di trasporto che all’epoca si riteneva avesse una grande potenzialità di sviluppo.
Le gare della Schneider venivano disputate in rappresentanza delle rispettive nazioni da piloti civili o ex militari appartenenti ai vari aeroclub ai quali venivano affidati idrovolanti derivati da produzioni di serie adattati alle necessità della competizione. La nuova edizione veniva di volta in volta ospitata nella nazione vincitrice la precedente ed i voli cronometrati venivano effettuati in un circuito chiuso triangolare, delimitato su uno specchio d’acqua da piloni galleggianti. Vinceva la gara la squadra che, dopo aver fatto superare al proprio idrovolante le rigide prove di galleggiamento e flottaggio, percorreva il numero di giri del circuito stabiliti spuntando il tempo medio più basso. Il trofeo della Coppa Schneider sarebbe stato definitivamente conquistato dalla nazione la cui squadra avesse vinto tre edizioni consecutive. La prima edizione della Schneider fu disputata sulle acque davanti al porto di Montecarlo nel 1913 e la competizione si concluse definitivamente a Calshot nel 1931.
All’inizio, alla Schneider tutto era molto pionieristico, sicuramente romantico ed il risultato finale era affidato in gran parte alla capacità, al coraggio ed alla tenacia del pilota e spesso anche alla fortuna. Pensando agli arrembanti equipaggi delle prime edizioni non può non venire in mente il magnifico film, veramente per appassionati del genere, conosciuto con l’eloquente titolo de: “Quei temerari sulle macchine volanti”!
Ma le cose sarebbero presto cambiate.
Dopo l’interruzione forzata determinata dal conflitto mondiale, la Schneider riprese nel 1920 accelerando nel vero senso della parola e diventando sostanzialmente una gara di velocità pura.
Tutto diventò molto più serio e pericoloso. Le ditte costruttrici iniziarono a mettere in campo macchine progettate specificatamente per la gara, evoluzione l’una dell’altra e via via sempre più sofisticate; nacque la definizione di Idrocorsa proprio per identificare quegli idrovolanti da competizione che erano veri e propri prototipi realizzati artigianalmente e costruiti in serie limitatissime. A spingere al massimo gli Idrocorsa vennero progettati e costruiti motori sempre più potenti, assemblati con leghe sperimentali ed alimentati da combustibili dalla formula segretissima; basti pensare che anche le taniche di carburante durante le sessioni di prova erano sorvegliate a vista da sentinelle armate.
La competizione ormai diventava ogni volta sempre più famosa e seguita dal pubblico, la stampa era scatenata ad attizzare il fuoco della competizione tra le nazioni e centinaia di migliaia di persone si assiepavano ad ogni edizione per assistere al passaggio dei rombanti e velocissimi aeroplani, ognuno dipinto con i colori del proprio paese.
Da un ambiente amatoriale delle prime edizioni, animato dalla leggerezza ed il fair play da gentlemen drivers degli aeroclub, si passò ad un confronto militare che generò una escalation di risorse umane ed economiche impiegate in maniera sempre più massiccia al fine di far prevalere il prestigio di una nazione rispetto all’altra. Si decise di allungare i tempi a due anni tra una edizione e la successiva in modo da consentire alle ditte di costruire le loro macchine complesse ed ai piloti di esercitarsi al pilotaggio. L’impegno economico diventava via via sempre più gravoso e gli incidenti in prova sempre più frequenti e mortali; man mano che l’asticella veniva alzata sempre più nazioni si ritirarono dalla competizione lasciando infine solamente Italia ed Inghilterra a contendersi la conquista definitiva del trofeo. A quel punto, vista la posta in gioco, la figura romantica dell’eroico aviatore solitario ed individualista, che si concedeva alla stampa internazionale sorridente ed abbigliato come un dandy, venne messa da parte e sostituita dalle divise ed i volti anonimi ed impassibili di uomini accuratamente selezionati tra i ranghi dell’aviazione militare.  In seno alla Regia Aeronautica, su diretto ordine del Ministro Italo Balbo e come estremo sforzo per ottenere la prestigiosa vittoria finale, venne istituita la Scuola d’Alta Velocità che avrebbe brevettato i piloti definiti “Velocisti” destinati alla Schneider ed inquadrati nel R.A.V. ( Reparto Alta Velocità ) un reparto d’èlite dotato di una propria base a Desenzano sul Garda, strutture, attrezzature e mezzi specifici per effettuare un addestramento lontano da occhi indiscreti. Gli inglesi da parte loro schierarono il THE FLIGHT ( High Speed Flight) formato da piloti altrettanto abili e determinati ad ottenere la vittoria per il proprio paese.  L’addestramento raggiunse così livelli altissimi e per poter meglio gestire e controllare il coraggio e l’abilità del pilota i criteri di selezione richiedevano prima di tutto un fortissimo senso del dovere ed una totale ed incondizionata dedizione alla patria tale da arrivare se necessario fino al sacrificio finale, una evenienza che purtroppo spesso si verificò. Durante le fasi di preparazione i piloti venivano isolati in un ambiente quasi monastico e rigidamente addestrati a diventare di fatto dei robot sempre più perfezionati da inserire nell’ingranaggio meccanico dell’aeroplano. Il loro dovere era quello di percorrere i circuiti nel modo più preciso possibile, alla ricerca del giro di gara perfetto sezionato in settori e ricomposto da procedure di volo espresse al millimetro in modo da ridurre al massimo la lunghezza del percorso e di conseguenza il tempo sul giro. Fu in base a quegli studi, addirittura realizzati con l’ausilio di meccanismi e modellini in scala che in Italia venne ideata e messa in atto la “Virata Desenzano” una manovra che sarebbe poi diventata famosa come “Schneider”.
In questo clima di competizione sempre più frenetica, si può dire quasi isterica, segnata da incidenti mortali e teste che volavano se il risultato non arrivava, la ricerca della prestazione si sviluppò con una progressione impressionante, paragonabile solo a quella che si verifica durante un conflitto mondiale. Dai 160 cavalli del Gnome et Rhône che spingeva il Deperdussin Monocoque vincitore dell’edizione del 1913 si arrivò a spremere oltre 3000 cv dal fantascientifico Fiat AS.6 del Macchi MC72 che nel 1934 conquistò definitivamente il record di velocità per la categoria. Tutto era portato all’estremo ed agli uomini, ai motori ed alle macchine si ordinava perentoriamente di vincere o morire.
E’ quindi facile comprendere come in questa missione quasi messianica dell’ottenimento della vittoria finale si sia potuta concedere una opportunità di sviluppo a progetti fantascientifici come quello del Piaggio PC7.
Nel caso specifico che portò alla nascita del PC7, quello rappresentato dalla resistenza aerodinamica era uno dei maggiori problemi che i progettisti impegnati nella competizione dovevano risolvere. L’alta velocità, anzi la più alta velocità possibile, era l’obiettivo che si poteva ottenere ripulendo al massimo la linea dell’aeroplano offrendo alla resistenza aerodinamica la sezione frontale più ridotta possibile. Si passò quindi dalla costruzione a scafo centrale a quella a due scafi, detti “scarponi”, dalla formula biplano al monoplano, rimpicciolendo al massimo gli abitacoli ed eliminando o assottigliando quanto più possibile le controventature tra la fusoliera e le ali. Gli aeroplani diventarono così sempre più snelli e magnifici da vedere nelle loro livree da corsa esprimendo anche da fermi quell’idea di forza e potenza dinamica perfettamente allineata con il pensare futurista dell’epoca.
L’ingegner Pegna, progettista in forza alla Piaggio, affrontò il problema aerodinamico con un effettivo pragmatismo, eliminando ciò che non era funzionale al volo dell’aeroplano. La sua idea fu infatti semplicemente quella di togliere sezione frontale eliminando gli scarponi. Questo avrebbe inoltre permesso di alleggerire di molto l’aeroplano richiedendo di conseguenza un motore meno potente per ottenere la velocità necessaria e meno carburante per la gara.
Piaggio PC7 Squadratlantica
Il PC7 di Pegna presentava una linea futuristica e snella, dotata di due ali sottili e corte di forma ellittica e rivestite come era di prassi sugli idrocorsa da tubature in rame laminate a filo che avevano la funzione di radiatori. Una elica aeronautica era installata sul muso affilato ed una elica marina sotto il timone di coda. Sotto la la fusoliera a tenuta stagna che fungeva da unico galleggiante erano installate tre alette idroplane.
Una volta avviato il motore e trasmessa potenza all’elica marina l’idrocorsa di Pegna prendeva velocità e si comportava di fatto come un aliscafo alzando il muso sulle alette anteriori; a quel punto l’elica aeronautica veniva inserita per aumentare sensibilmente la velocità, portare il PC 7 in redan, effettuare il distacco e spiccare il volo velocistico.
Potenzialmente l’idea era davvero buona: nel 1934 il Macchi MC72, penalizzato da due scarponi enormi, riuscirà infatti ad esprimere oltre 700Km all’ora di media; viene da chiedersi cosa avrebbe potuto fare senza essere penalizzato da quei massicci ingombri aerodinamici. Ai tempi dello sviluppo del PC7 i piloti del RAV si diplomavano Velocisti già superando i 500 Km/h con i Macchi M52 dotati di scarponi; e evidente che senza quel freno aerodinamico c’era la concreta potenzialità di accrescere e di parecchio la velocità. Prendete un Macchi MC72, toglietegli i galleggianti e capirete cosa aveva in mente l’ingegner Pegna.
Vennero quindi costruiti due Piaggio PC7 subito ribattezzati “Pinocchio” in virtù del lungo ed affilato muso e nel 1929 vennero finalmente messi in acqua. L’ottimo ed obbediente pilota Velocista Tomaso Dal Molin, sempre in prima linea per il collaudo delle macchine sperimentali della RAV – perderà la vita testando il Savoia S65 – si prodigherà senza successo in interminabili flottaggi alla ricerca della velocità necessaria ad alzare il muso ed innestare finalmente l’elica aeronautica. Era stato calcolato che servivano centocinquanta secondi per portare in redan il Piaggio PC7, un tempo che gli avrebbe fatto percorrere ben tre chilometri flottando e rimbalzando sulla superficie dell’acqua. Un tormento per il pilota e la macchina che purtroppo non portò a nessun risultato ed il Piaggio PC7 non spiccò mai il volo. Paradossalmente le cause dell’insuccesso furono di carattere meccanico, la tecnologia dell’epoca non fu all’altezza della missione e la frizione che doveva provvedere alla trasmissione della potenza da una elica all’altra non funzionò mai a dovere tagliando così le ali al visionario progetto della Piaggio.
La memoria, l’ingegno e l’onore dell’Ingegner Pegna avrebbero avuto giustizia ben 58 anni dopo quando un modellino in scala radiocomandato costruito da Alain Vassel si staccò finalmente dalla superficie dell’acqua e volò, dimostrando la validità di un progetto che fu senz’altro rivoluzionario ed avrebbe ancora alzato l’asticella dello sviluppo in un ambiente, quello della Coppa Schneider, che già per il mondo dell’epoca era pura fantascienza.
Con la nostra t-shirt da collezione noi celebriamo, conservandolo a futura memoria ed ispirazione nella nostra galleria, quello sguardo visionario e quella capacità di sintesi del problema che sono caratteristici dei progettisti come l’Ingegner Pegna che sanno vedere oltre quello che è il loro tempo, mostrando ai loro scettici colleghi prima, ed al mondo intero poi, che c’è sempre una nuova via da seguire, un margine di miglioramento, un cambio di gioco possibile per chi ha il coraggio di osare.
VAI ALLA TSHIRT DEDICATA AL PIAGGIO PC. 7
Piaggio PC7 Squadratlantica