Sorry, no original eng. text available! Despite extensive research, we were unable to find the original transcript of the report of Lieutenant Vascello M.R. Maund. We would like to honor his memory with his exact words and therefore we do not consider correct to proceed with a return translation.We ask for the help of our Anglo-Saxon readers in case they are able to provide us with a copy. One source can be the book “The attack on Taranto” by B.B. Shofield.
Pls. write to davidenicola@squadratlantica.it
Notte dell’ 11 Novembre 1940 Resoconto del Tenente di Vascello M.R. Maund pilota dello Swordfish siglato E4F armato di siluro e facente parte della prima ondata di attacco. Insieme a lui l’osservatore W.A. Bull. Il Tenente Maund cadrà poi in azione l’11 gennaio del 1943.
“Seimila piedi. Mio Dio che freddo fa quassù! Quella specie di freddo che ti penetra ovunque finché tutto il resto si dilegua, tranne forse la paura e la solitudine. Sospesi tra cielo e terra in una specie di terra di nessuno. In verità un uomo non può immaginarsi com’è qui, nell’abisso che gli uomini dei tempi antichi temevano di incontrare se si fossero avventurati ai confini della terra. Può sorprendere che le mie ginocchia battano l’una contro l’altra? Passiamo ora sotto una coltre di nubi stratiformi che coprono la luna lasciando vedere solo poche chiazze d’argento dove sono più rade. Ora Williamson sta per entrarvi dentro! Sento uno strattone alla mia ala sinistra e vedo che Kemp mi supera nella scia del caposezione. Manovro con forza per rialzare l’ala, ma il capo sezione si ritrova in uno dei suoi momenti ruggenti. Improvvisamente butto l’aereo in picchiata e ci mettiamo a precipitare dal cielo! Spingo avanti il mio aereo e scorgo la sagoma di un altro velivolo che mi passa sfrecciando sulla testa. Volgendomi a guardare, vedo davanti a me le luci di formazione e m’innalzo dietro di esse per seguirle dentro uno dei rari buchi della massa di nubi. Di sicuro ci sono almeno due aerei e, quando mi faccio sotto, devono essere più avanti. Dopo pochi trepidi minuti alcune luci fievoli appaiono al di sopra dei cumuli di nubi. Aumento il gas, mi allontano rombando da Olly e punto verso di esse. Mio povero motore, ti concerai bene in questo viaggio! La sezione si è ora raggruppata a circa 2.500 metri. Siamo all’estremità dello strato di nuvole. Il regolare lampeggio di una luce giù in basso, a dritta, richiama la nostra attenzione. “C’è una luce che lampeggia a dritta, Bull, la puoi localizzare?”, “Ah,si” e non dice altro. Il povero diavolo a quest’ora deve essere mezzo congelato dal freddo. Ora appare la costa. Una grigia striscia di terra ondulata. Bull si scuote nella sua ghiacciaia per poter dire appena che dobbiamo ancora attendere 40 minuti ed io per ricordargli di chiudere bene il serbatoio supplementare prima della picchiata. Non faccio alcuna virata per ritornare fuori verso il mare, ma mantengo la rotta parallela alla costa a non più di cinque miglia da essa, rinunciando, con questo, ad ogni possibilità di sorpresa. I minuti sembrano anni. Alcuni bagliori, stranamente colorati sul rosso scuro, appaiono in cielo a dritta. Ci vuole un po’ di tempo prima che si possa realizzare il loro significato. Mi sto avvicinando al porto. I bagliori sono scoppi di granate ad alto esplosivo che producono un muro di sbarramento nell’area dei bersagli. Giro verso la costa togliendo gas al motore. Mi sembra di rimanere per secoli librato nell’aria senza veder succedere niente; poi un fuoco d’artificio bianco, rosso e verde viene rovesciato nella mia direzione. Gli scoppi delle granate si fanno sempre più vicini e guardando sotto a dritta vedo una forma vagamente confusa che ormai conosco bene come il palmo della mia mano. Mi trovo nella zona dell’attacco. L’aereo che avevo di fronte sparisce e mi metto sulla mia linea di avvicinamento. Scendo dolcemente scivolando verso l’angolo Nord-Ovest del porto. Ci siamo. Sposto indietro di una o due tacche l’angolo di incidenza dei timoni. La mia paura è passata lasciandomi una mente serena e lucida come non avevo mai avuto nella mia vita. Ora la grandine dei traccianti a circa 1.800 metri è dietro di me e non ho niente da scansare; ma vedo che mi sbaglio, non è più dietro. Hanno spostato il tiro. Ecco ora, verso dritta, una pioggia di colpi rossi, bianchi e verdi che ricopre il porto ad una altezza di circa 600 metri. La cosa è tutt’altro che uno scherzo. Appare un bagliore improvviso sulla riva Nord-orientale, poi un altro e un altro ancora via via che vengono sganciati i bengala, finché il porto è tutto illuminato dalla loro luce. Ma anche in mezzo a questa illuminazione risaltano i bagliori dei traccianti che incrociano in una pioggia di colori e che sembra non possano lasciarmi molte possibilità di uscire incolume. Mi trovo ora a circa 300 metri sorpa un ordinato quartiere residenziale della città dove le cupe macchie dei giardini e le case formano dei quadrati. Si vede la strada principale che collega i quartieri con il centro. Seguo il suo tracciato e mentre apro il gas per prolungare la planata, una “Breda” che sventaglia dalla costa, rovescia su di me un torrente di fuoco. Questo è l’inizio. Poi altre due postazioni un po’ più a Nord seguono la mia pista. Sono spari bianchi, questa volta. Tolgo nuovamente gas e punto verso una massa scura sulla costa che ha l’aspetto di una fabbrica, dove presumibilmente non si trovano palloni. Un’alta ciminiera della fabbrica si stacca nettamente contro lo scintillio dell’acqua. Devo essere a una trentina di metri e mi devo buttare in quel dannato specchio d’acqua per compiere l’attacco. Come mi trovo al traverso della ciminiera, apro tutto il gas e mi dirigo verso l’imboccatura del mar Piccolo, la cui posizione sebbene non sia visibile, può essere indovinata dalla disposizione della terra. Poi è come se tutto l’inferno si rovesciasse sopra di me. Deve essere stato il fuoco degli incrociatori e delle batterie del canale navigabile. Nella mia mente c’è spazio solo per due cose: la via d’avvicinamento per mettermi in posizione di lancio ed un selvaggio desiderio di scampare agli effetti di questo micidiale uragano. E così, manovro a zigzag nel tentativo di evitare il fuoco antiaereo. E’ l’istinto di conservazione che guida i movimenti delle mie gambe e del braccio destro. Sul lato dritto, due grandi forme distinte appaiono gigantesche nello sfondo dei bagliori. Mentre scendo in picchiata, accosto finché la corazzata di dritta si trova inquadrata nel congegno di punteria. L’acqua è quasi sotto le ruote, così vicina che mi domando se il siluro farà in tempo ad andare o se sarò io ad entrare in acqua. Mi rimetto in assetto orizzontale. Quasi senza pensare, premo il bottone di sgancio ed un sussulto mi dice che il “pesce” è partito. Sono ora vicino alla riva da cui ero venuto. Sfreccio tra una nave mercantile e l’altra messe in fila, cercando di ripararmi. Ma i miei guai non sono affatto finiti, perché nello sfrecciare di qua e di là, finisco addosso ad un cacciatorpediniere della classe “Artigliere”. Prima che mi possa rendere conto che hanno aperto il fuoco su di me sono sopra il suo castello di prua e, benché io sia a portata delle sue artiglierie di dritta, queste sono al momento regolate con un tiro fisso tra i 50 e i 100 metri. Mentre accosto e giostro a zigzag verso il porto, i colpi bianchi roventi trapassano l’estremità della carlinga, gli incrociatori mi hanno di nuovo preso di mira, piazzando i colpi così vicini che posso sentire l’acre odore di fumo dei loro traccianti. Questa è la fine. Non posso scamparla con l’uragano che ho attorno. Eppure, come un animale caduto in trappola sa lottare per la vita con tutte le furie, così raddoppio le forze per cercare una via di scampo. Sto pensando “o mi uccido da solo o mi uccidono loro” e volando con l’apparecchio a tutto gas, sul pelo dell’acqua, con le punte delle ali che la sfiorano ad ogni virata, mi apro un varco per la via del ritorno. Con grande emozione mi rendo conto che oramai il peggio è passato. Di fronte ho l’isola che si trova tra le due estremità del mar Grande, una bassa massa scura che si accosta rapidamente. Mi dirigo tranquillamente verso il suo pendio occidentale ignaro di quanto possa nascondere, quando ecco arrivare un miagolio lacerante di granate mentre scoppi rossi zampillano da una postazione a non più di 100 metri. Scappo virando a dritta. Poi mentre la gragnola aumenta, via di nuovo a sinistra. Proseguendo sempre a zigzag, esco nel mare aperto… Finalmente sono libero di salire in quota. A 900 metri c’è fresco e tranquillità, poche nuvole illuminate gettano le loro scure ombre sul mare e la familiare luce arancione della cabina mi mostra gli strumenti che mi indicano che tutto è a posto. Tutto ciò che ho da fare ora è pensare al ritorno e all’atterraggio, pensieri che non mi preoccupano affatto.”
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.OkPrivacy policy
0 Comments
Leave A Comment